
L’ottimismo climatico si costruisce con l’azione, tra buone pratiche e ricerca costante. Lo scopo della ricerca è generare conoscenza e strumenti utili, un bisogno che in agricoltura adesso è più urgente che mai. Nei sistemi agricoli, come quelli per la viticoltura, che devono essere più resilienti agli shock climatici e ai cambiamenti ambientali permanenti, la tecnologia e l’innovazione giocano un ruolo chiave per soddisfare queste esigenze.
Affinché la divulgazione sia efficace, la ricerca deve concentrarsi sullo sviluppo di tecnologie appropriate che gli agricoltori possano adottare. E la divulgazione è un importante collegamento applicativo tra la ricerca agricola e gli agricoltori: ha il potenziale per facilitare il passaggio di informazioni, non solo dai centri di ricerca agli agricoltori, ma anche in senso inverso, nonché tra gli agricoltori stessi.
Si è comunità vitivinicola che evolve anche grazie al sostegno e fornitura di servizi di ricerca e divulgazione agricola, che permettono di agire insieme per adattarsi agli impatti negativi dei cambiamenti climatici, e continuare a produrre vini di qualità, sostenibili, riconoscibili e che diano un valore al territorio.
Ne parliamo con un esempio concreto insieme a Clara Vitaggio, viticoltrice e produttrice di vino a Marsala, nonché ricercatrice che ha concluso una prima fase di ricerca enologica sul vino Catarratto dal titolo “Effect of pre-fermentative cold soaking and use of different enzymes on the chemical and sensory properties of Catarratto wines“. Attualmente si trova in Portogallo per collaborare con l’Università di Porto.
Intervista telefonica via whatsapp, Roma-Porto, da casa. Bevande abbinate: Acqua di Nepi e un calice di Colheita Branco 2022 di Antonio Madeira, Dão, Portogallo.
Come descriveresti il tuo profilo di viticoltrice-enologa-ricercatrice?
Ho scelto il percorso di viticoltura ed enologia con l’obiettivo di tornare a lavorare nelle vigne di famiglia e contribuire attivamente alla valorizzazione del mio territorio. Dopo aver completato gli studi universitari e delle esperienze lavorative all’estero, ho iniziato a produrre il mio vino senza mai tralasciare il settore della ricerca, anche perché sono convinta che un vino di qualità e sostenibile sia il risultato di pratica in campo, studio scientifico e aggiornamento continuo. Sono ricercatrice presso l’Università di Palermo, dove porto avanti progetti in diversi ambiti, con un focus particolare sulle varietà reliquie: un patrimonio genetico spesso dimenticato, ma con un potenziale straordinario per affrontare le sfide imposte dai cambiamenti climatici. Queste varietà permettono infatti di produrre vini che esprimono al meglio l’identità territoriale, rafforzando il legame tra vitigno, ambiente e cultura locale.
Questo profilo lavorativo variegato come ha influenzato il rendimento del lavoro di ricerca?
Essere anche viticoltrice e produttrice di vino rappresenta un valore aggiunto per la ricerca, arricchendola di prospettive concrete e multidisciplinari. L’esperienza diretta in vigna e in cantina mi ha permesso di comprendere a fondo le reali esigenze del settore vitivinicolo, orientando le domande di ricerca verso problematiche pratiche e attuali. Allo stesso tempo, il confronto con realtà estere ha rafforzato la mia capacità di osservare i fenomeni con spirito critico e innovativo, stimolando l’adozione di approcci sperimentali più efficaci e applicabili. Questa integrazione tra lavoro sul campo, produzione e ricerca accademica ha favorito un dialogo costante tra teoria e pratica, contribuendo a rendere i progetti scientifici più aderenti alla realtà e più utili per lo sviluppo sostenibile del settore.
Prima di addentrarci in questa tua ricerca che riguarda il catarratto, puoi darci una panoramica su questo vitigno e il suo sviluppo in Sicilia?
Il catarratto è un vitigno autoctono a bacca bianca che costituisce una delle colonne portanti della viticoltura siciliana. È la varietà più coltivata dell’isola, che per lungo tempo, tuttavia, è stata relegata a un ruolo secondario, spesso associato a vini neutri o impiegato prevalentemente in blend. Negli ultimi anni, grazie all’impegno di produttori e tecnici, il catarratto sta vivendo una fase di riscoperta e valorizzazione, che ne sta facendo emergere appieno il potenziale qualitativo e identitario.
Dal punto di vista enologico, il catarratto è apprezzato per la sua moderata gradazione alcolica e una spiccata acidità. Il profilo aromatico varia in base all’ambiente pedoclimatico di coltivazione, passando da note delicate di fiori bianchi e agrumi, fino ad accenni di erbe aromatiche mediterranee. Non è un vino che si impone con intensità aromatica, piuttosto esprime raffinatezza ed equilibrio. La sua eleganza sottile lo rende versatile anche dal punto di vista stilistico: dai vini giovani e di pronta beva a vini complessi e profondi, con vinificazioni più strutturate o attraverso tecniche di macerazione sulle bucce. Quando coltivato in terreni vocati, il catarratto riesce a massimizzare l’espressione varietale e il legame con il territorio.
Qual è stata l’osservazione, l’identificazione del problema che ha dato il via alla conduzione di questa ricerca?
Parte tutto dal problema dell’eterogeneità di maturazione dell’uva. Durante i loro stadi fenologici, le uve hanno normalmente dei diversi livelli di maturazione. Man mano che i vitigni si spostano verso la maturazione e se le condizioni climatiche sono ottimali, gli acini che sono più indietro a livello di maturazione riescono a raggiungere quelli che sono più avanti con i livelli di maturazione e avremo un’omogeneità delle uve alla data di raccolta e la qualità finale del vino. Con i cambiamenti climatici e in condizioni climatiche estreme, come nel caso di ondate di calore e siccità, la pianta non sarà in grado di svolgere normalmente le sue attività fotosintetica e pertanto questo divario tra gli acini – che siano all’interno dello stesso grappolo, all’interno della pianta e all’interno di un appezzamento – non sarà colmato.
Con queste eterogeneità accentuata, se abbiamo un’elevata percentuale di acini non maturi o sovramaturi sulla nostra partita di uva si avrà un effetto sulla vendemmia e sulla qualità finale del vino dal punto di vista proprio sensoriale organolettico, in quanto non avverrà la corretta sintesi degli aromi ed evoluzione dei composti fenolici. Tra l’altro, avere una percentuale alta di uve sovramature comporterà anche un elevato grado alcolico, fenomeno intensificato dai cambiamenti climatici.
In condizioni non ottimali o in caso di elevata eterogeneità di maturazione delle uve, il catarratto, così come altre varietà, possono manifestare note vegetali o acerbe, riconducibili a composti che evocano sensazioni di frutto immaturo, spesso erroneamente interpretate come amarezza o confuse con l’acidità. Il carattere acerbo è una percezione che si manifesta al palato come una sensazione di ruvidità, persistente anche dopo la degustazione del vino.
Quali evidenze sono emerse e quali le implicazioni pratiche?
Nel corso delle nostre ricerche, attraverso lo studio degli enzimi presenti dell’uva e dei lieviti di fermentazione, abbiamo individuato alcune delle molecole responsabili di queste percezioni di vegetale e acerbo. Aver compreso meglio la natura delle molecole responsabili del carattere acerbo ci ha permesso di sviluppare strategie enologiche sostenibili che non ricorrono a pratiche invasive e che mascherano il carattere acerbo (es. uso di additivi chimici, residuo zuccherino più alto) per mitigarne l’impatto, contribuendo così a valorizzare ulteriormente il profilo qualitativo del catarratto, nel rispetto della sua identità varietale. Tuttavia, quando il catarratto è coltivato in ambienti vocati e con una gestione agronomica adeguata, tali deviazioni sensoriali tendono a non manifestarsi.
Questa ricerca enologica, come sta beneficiando chi produce vini a base catarratto? Può aiutare chi ha problematiche simili?
Svolgiamo regolarmente delle sedute di analisi sensoriale, dove invitiamo enologi, agronomi e produttori del territorio. Alcuni di loro vengono coinvolti attivamente nelle ricerche fornendoci delle uve con determinate caratteristiche da studiare o come degustatori esperti capaci di riconoscere e valutare con precisione le sfumature sensoriali dei campioni analizzati, come la percezione dell’acerbo dall’acidità. Partecipando a queste sedute si ha la possibilità di apprendere e far delle prove nelle proprie cantine per applicare il progresso della ricerca. Inoltre, anche chi produce vini a base spumante e non solo da uva catarratto, con un simile problema di aspetto acerbo, dovuto alla necessità di raccolta anticipata, può trovare d’interesse le soluzioni proposte da questa ricerca.
Ci sono state delle difficoltà nel comunicare i risultati della ricerca ai diretti interessati, ovvero agli enologi e produttori di vino?
Da una parte, è positivo che i diretti interessati, avendo visto come si svolgono le attività di ricerca, mostrino curiosità, il voler mettere in pratica per migliorarsi e anche proporre a noi ricercatori delle linee di ricerca. Dall’altra, ci possono essere casi in cui la passione e la voglia di migliorarsi non sono sostenute da buone conoscenze di base sia di agronomia che di enologia, e quindi si fa più fatica a seguire l’andamento e le finalità della ricerca.
Quali sono le buone pratiche da applicare in vigna e che sono collegate alla problematica di eterogeneità di maturazione?
In un’ottica di cambiamento climatico e di impianti di nuovi vigneti, l’interazione pianta-suolo è fondamentale. Bisogna puntare a suoli che siano sempre più fertili e ricchi di sostanze organiche e di elementi nutritivi, capaci di immagazzinare acqua e di cederla nel momento in cui è giusto, mantenere un buon livello di biodiversità. Oltre ad attuare l’agricoltura di precisione e coltivare nei luoghi giusti per gestire il vigneto, sarà indispensabile fornire, grazie alla ricerca, strumenti utili all’agricoltura di precisione come gli indici di eterogeneità di maturazione che permettono di misurare questa variabilità – per definire l’ottimale data di raccolta, per la gestione del vigneto e per comparare diverse varietà, vigneti e suoli in quanto con indici di variabilità di maturazione più bassi, una varietà sarà più indicata e si adatterà meglio a un determinato suolo. A breve sarà disponibile la ricerca su questi indici a supporto degli agricoltori in vigneto.
Quale livello di ottimismo assoceresti ai risultati e alla praticità di questa ricerca?
Ottimismo massimo! La ricerca deve andare avanti, soprattutto in relazione alla valorizzazione del territorio. Questa ricerca rappresenta un passo importante verso una maggiore comprensione del ruolo che il territorio, inteso come combinazione di suolo, clima, esposizione e pratiche agronomiche locali, gioca nella modulazione dei processi di maturazione dell’uva. Approfondire lo studio in aree geograficamente e pedologicamente diverse permette di mettere in luce le interazioni specifiche tra varietà e ambiente, contribuendo a definire in modo più preciso l’identità territoriale dei vini. Un tale approccio apre anche prospettive concrete per la valorizzazione delle produzioni locali, offrendo strumenti utili per una viticoltura più mirata, sostenibile e distintiva. È positivo che questa ricerca sia stata estesa a tutta la Sicilia e anche al di fuori dei suoi confini. Proprio adesso mi trovo a Porto, dove c’è un forte interesse per questo tipo di ricerca. Il cambiamento climatico sta impattando tutti e si possono riscontrare criticità simili in regioni diverse e il bisogno condiviso di soluzioni possibili.